E' già martedì. Riflessioni di un giornalista che si guarda intorno. Di Luciano Ragno Il nostro non è un Paese per giovani. Guardiamo quelli che arrivano. E ci impegniamo con leggi e navi a respingerli. Addirittura con costose strutture all'estero, pur di non averli in casa. Ma non guardiamo , nemmeno distrattamente, quelli che se ne vanno. Eppure hanno studiato qui . La Scuola li ha preparati per il domani. Poi la Società , il giorno dopo della laurea o del diploma, ignora la loro capacità di costruire. Soprattutto- e questo è imperdonabile- non comprende le loro ambizioni di crescita professionale, culturale e personale. E così , come i loro bisnonni e nonni, chiudono la valigia e se ne vanno. Accolti all'estero come “emigranti di lusso”. A braccia aperte. Un rapporto di “Fondazione Nord Est” dice che dal 2011 al 2023 hanno lasciato l'Italia 550 mila giovani fra i 18 e i 34 anni . Potrebbero essere di più perché molti hanno conservato la residenza dove sono nati. Ne sono tornati solo 172 mila. E ancora: per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati , otto italiani fanno la valigia e vanno all'estero. E uno su tre non ha proprio intenzione di tornare. “Essere giovani vuol dire tener aperto l'oblò della speranza , anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro” ha detto Bob Dylan. Ma in Italia non si aiutano i giovani a tenere aperto quell'oblò. Chi lo dovrebbe fare, sa solo che esiste l'oblò da dove vedere chi – soprattutto giovani-vuol entrare su un guscio di legno e latta con una gran voglia di costruirsi il domani. E ne avremmo bisogno. Il nostro non è proprio un Paese per giovani.
3 giorni fa